Fonte: sites.google.com/a/guhsd.net
Le tante storie di cui sono venuta a conoscenza nel corso della mia carriera, unitamente alle diverse situazioni che mi si sono palesate mi fanno spesso riflettere, sui meccanismi emotivi e talvolta fortuiti che possono emergere, nell’ambito di un semplice test di paternità e/o maternità: in questi test infatti la componente emotiva gioca un ruolo molto importante.
Dismesso il ruolo di genetista forense, si riflette spesso su una domanda in particolare: ha un figlio il diritto di conoscere le proprie origini biologiche?
Una volta venuto a conoscenza del fatto che il padre che lo ha cresciuto non sia quello biologico, si ha il diritto di conoscere quest’ultimo? Dove finisce il diritto di tutela della sfera personale della madre (che ha deciso di celare al proprio figlio il nome del padre biologico) e dove inizia quella del figlio?
Questo è stato per me uno spunto di riflessione per cercare di comprendere sensazioni ed emozioni, volgendo poi lo sguardo alla normativa, visto che si tratta di ambiti che abbracciano sia la sfera emotiva che quella legale.
Ricordo il caso di una donna sposata che ebbe una relazione extraconiugale, nell’ambito della quale venne concepito un bambino.
La donna, pur consapevole che il marito non fosse il padre biologico, decise di nascondere il fatto e crescere il ragazzo nella convinzione che il padre biologico fosse l'uomo che lo aveva cresciuto.
Solo da adulto - per una serie di coincidenze - il figlio venne a conoscenza della verità e la sua reazione fu di dolore e recriminazione: rimproverava la madre per aver presto questa decisione per lui.
Come ho già detto esiste, oltre ad aspetto emotivo, anche quello legale. A tale scopo cito un articolo presente nel sito www.diritto.it dove viene riportata una sentenza della Cassazione che seppure nell’ambito di una storia di adozione, evidenzia lo stesso problema etico (https://www.diritto.it/diritto-alle-origini/).
L’ultima pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. I, 29.05.2017 – 20.03.2018 n.6963) sul diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini segna una svolta in materia di adozione in quanto, permette al richiedente di cercare e/o conoscere tutta la famiglia di origine, anche sorelle e fratelli, garantendo, al tempo stesso, un bilanciamento tra i diritti fondamentali in questione: il diritto a di conoscere la propria famiglia biologica e diritto alla riservatezza di questi ultimi. Nonostante le leggi del nostro ordinamento (n.184/1983 e 149/2001), si siano rivelate inadeguate alla protezione dei suddetti diritti, la Corte di Cassazione ha esteso l’ambito applicativo della norma italiana, allineandosi ai principi e alle tutele offerte dagli ordinamenti sovranazionali e dalla Cedu.
Rispetto al ricorso presentato dall’adottato, precedentemente rigettato – prima dal Tribunale di Torino e, successivamente dalla Corte d’Appello di Torino – la Suprema Corte lo ha accolto, statuendo un nuovo principio di diritto: “L’adottato ha il diritto di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti non solo l’identità dei genitori biologici, ma anche quella delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo loro interpello mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle dette informazioni o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto”.